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FAQ – Domande Ricorrenti

Cos’è la campagna “Solidarietà con i Pescatori di Gaza”?

E’ una campagna di sostegno ai pescatori palestinesi della Striscia di Gaza, che sono sotto embargo, obbligati a stretti limiti riguardo alla zona di pesca, e sottoposti a continui e ripetuti attacchi da parte delle Forze di Occupazione Israeliane.
Ci proponiamo di suscitare e ampliare l’attenzione nei confronti della loro situazione e della loro quotidiana lotta creando rete con i loro analoghi nei vari Paesi del mondo.
Ci proponiamo di sviluppare il sostegno della società civile internazionale alla causa palestinese, con l’obiettivo di porre fine al blocco.

In tutto il mondo il modello di pesca sostenibile si trova in difficoltà per ragioni prettamente politiche. Porsi al fianco dei pescatori di Gaza permette di accrescere la consapevolezza riguardo a tali problematiche, quindi non solo riguardo alla necessità di porre fine al blocco di Gaza, ma anche riguardo all’importanza di rispettare e supportare il lavoro dei pescatori in tutto il mondo.

Chiediamo ai pescatori dei vari Paesi di aderire a questa campagna, raccontandoci le loro esperienze, le loro difficoltà e le loro lotte, e aiutandoci a diffondere le notizie sulla grave situazione dei pescatori di Gaza.
Chiediamo di organizzare eventi di solidarietà nelle comunità o nei porti di pesca, ad esempio salpando – in maniera simbolica – sventolando bandiere palestinesi e striscioni riguardanti questa campagna.

Le organizzazioni di pescatori e i singoli individui possono donare parte del loro pescato per consentirci di consegnare pesce – di cui c’è estremo bisogno – e materiale per la manutenzione e la riparazione delle barche, ai pescatori di Gaza, tramite una ONG che fa parte della nostra coalizione, la malese MyCARE.

La Freedom Flotilla Coalition si propone di continuare a sviluppare il più ampio sostegno della società civile attorno a questi temi, con l’obiettivo di preparare una nuova più grande missione contro il blocco, nel 2018.

Perché focalizzarsi sui pescatori palestinesi di Gaza?

Circa un miliardo di persone nel mondo, basa la propria fonte di proteine alimentari sul pesce. Molte di queste persone vivono in povertà e molti dei 54 milioni di pescatori del mondo sono poveri.
Gaza, una striscia di terra con 43 Km. di costa, si basava  abbondantemente sulla pesca costiera per nutrire la popolazione di quasi 2 milioni di Palestinesi.

Ma durante gli ultimi dieci anni, la possibilità per gli abitanti di Gaza di vivere grazie all’attività di pesca è stata gravemente compromessa a causa dei limiti di navigazione imposti dalle Autorità israeliane lungo la costa di Gaza (fonte).
Il pesce, in particolare le sardine, rappresentava la principale fonte di proteine, micronutrienti e acidi grassi Omega 3 essenziali per i Palestinesi di Gaza, contribuiva alla varietà nutrizionale e, allo stesso tempo, dava lavoro a migliaia di famiglie.
La distruzione dell’industria della pesca è una delle ragioni per cui più della metà delle famiglie di Gaza si trova in condizione di crisi alimentare (fonte).

Quanto spesso Israele attacca le barche da pesca di Gaza?

La Marina delle Forze di Occupazione Israeliane (IOF) apre frequentemente il fuoco sui pescatori palestinesi disarmati che sono tranquillamente dediti alle attività di pesca. Ciò avviene nonostante le barche si trovino all’interno della ristretta zona di navigazione entro i cui limiti vengono illegalmente obbligate a permanere dalle autorità israeliane.
Sebbene generalmente non mirino direttamente a uccidere, le imbarcazioni militari israeliane sparano vere munizioni – con le loro mitragliatrici pesanti – verso le barche da pesca palestinesi, per terrorizzare i pescatori.
Molte volte questi attacchi producono danni agli scafi e ai motori; spesso causano feriti; molte volte vengono distrutte le reti e confiscate le barche.

Il blocco illegale messo in atto da Israele rende estremamente difficili, quando non impossibili, le attività di manutenzione delle barche e delle attrezzature, date le severe restrizioni alle importazioni a Gaza di motori, parti meccaniche, materie plastiche e vetroresina.
I pescatori di Gaza sono terrorizzati; molti non possono più continuare a svolgere il proprio lavoro.

Ogni settimana, il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) pubblica un rapporto dettagliato e ben documentato sulle violazioni israeliane dei Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati. Durante i primi tre mesi del 2017, ha documentato 52 incidenti riguardanti l’utilizzo di armi da fuoco contro i pescatori. L’Agenzia Ma’an News ha riferito di altri 12 incidenti.
I portavoce dei pescatori riferiscono che il numero reale di attacchi è molto più alto, dato che molti incidenti non vengono denunciati.
I rapporti quindicinali di OCHA (Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari) confermano e documentano le sparatorie dell’Esercito di Occupazione Israeliano contro i pescatori di Gaza.

Il 4 gennaio, un pescatore, che si trovava regolarmente entro le cinque miglia nautiche da terra, è rimasto ucciso quando una nave dell’IOF ha attaccato la sua barca facendola capovolgere. Secondo i rapporti del PCHR, cinque degli incidenti verificatisi nei primi quattro mesi del 2017, hanno procurato feriti: sono stati feriti sei pescatori, alcuni in modo grave.

Spesso i pescatori vengono arrestati e le loro barche danneggiate o confiscate: ciò significa privare intere famiglie del loro unico mezzo di sostentamento.

Spesso, durante gli attacchi dell’IOF, ai pescatori viene ordinato – sotto tiro – di spogliarsi, tuffarsi in acqua e nuotare fino alla imbarcazione militare israeliana, dove vengono arrestati e tradotti in Israele.

Fin dove dovrebbe estendersi la zona di pesca? In quale area vengono costretti da Israele?

Secondo le leggi Internazionali, uno Stato costiero può stabilire – come zona di pesca riservata – un’area che si estende fino a 20 miglia nautiche (mn) dalla propria costa: in tale area può vietare la pesca ai natanti stranieri.
Oltre tale area, secondo le norme internazionali, vale la libera navigazione e il diritto di pesca per tutti.

In base a tale regola gli Accordi di Oslo stabilirono che la zona di pesca riservata a Gaza si estendesse fino a 20 mn da terra. Ma si trattava di una sorta di riserva al contrario, intesa a relegare i pescatori nella zona costiera di Gaza: non era loro permesso navigare, e quindi pescare, oltre le 20 mn.
Per relegarli del tutto in uno specchio di mare ristretto, fu stabilito che la zona fosse limitata, da entrambi i lati costieri, da due zone vietate, protette militarmente: 1,5 mn sul confine verso Israele, e 1 mn sul confine verso l’Egitto.
Ma Israele non ha mai rispettato gli accordi, e non ha mai permesso la libera navigazione e la pesca entro tali limiti.
Fin dal 1998, l’IOF ha spesso aperto il fuoco sui pescatori entro le 20 mn.
Man mano Israele ha poi ristretto i limiti, spostandoli sempre più vicino alla costa. Nel 2005, Israele ha unilateralmente, ridotto la zona di pesca palestinese spostando i limiti a 6 mn, e in alcuni periodi successivi addirittura a 3 mn.
Ma i banchi di pesce si trovano ad almeno 6 o 10 mn da terra, dove non è consentito ai pescatori di andare.
Come parte dell’accordo di tregua del 26 agosto 2014, Israele aveva accettato di riportare il limite a 6 mn, ma l’IOF continua ad attaccare costantemente le barche da pesca già entro le 3 mn.
Negli ultimi anni, Israele ha, temporaneamente, esteso la zona di pesca, da 6 a 9 miglia nautiche, solo nella parte meridionale della Costa di Gaza. I dati raccolti dall’ONU indicano che sia la varietà sia la quantità dei pesci aumentano, mentre l’estensione dura. Il diritto dei pescatori di aver accesso al mare non dovrebbe essere lasciato alle decisioni arbitrarie degli occupanti. E continuano ad esserci continui attacchi contro i pescatori palestinesi – di cui alcuni fatali  – anche all’interno dell’area formalmente autorizzata.

L’area costiera di Gaza, entro le 6 miglia nautiche è  pesantemente inquinata, in gran parte a causa della distruzione, da parte di Israele, delle strutture per il trattamento dei liquami (che, per la maggior parte, non sono state ancora riparate perché il blocco ha causato una diminuzione dell’ingresso dei materiali utili alle riparazioni). Ciò ha avuto come conseguenza un alto volume di liquami grezzi e di acque reflue che contaminano pesantemente la costa e rendono inutilizzabile per la pesca quest’area ristretta.
Il miglior pescato sarebbe disponibile oltre le 20 miglia nautiche.

Perché Israele attacca le barche da pesca di Gaza?

Gli attacchi alle barche sono parte della politica israeliana nei confronti dei Palestinesi, in particolare quelli di Gaza: creare disagio, minare la dignità, comminare dure restrizioni.
Lo scopo di tale politica è quello di reprimere i Palestinesi, distruggere il morale della popolazione di Gaza e impedire lo sviluppo di una società prosperosa quale Gaza potrebbe essere.
Una parte di questa politica consiste nello stretto blocco delle esportazioni, che non incide in alcun modo sulla sicurezza di Israele.
Un’altra parte di questa politica consiste nelle campagne israeliane di bombardamenti che colpiscono e distruggono le infrastrutture vitali di Gaza.
Una terza parte consiste nel disabilitare il settore della pesca che, tradizionalmente, è molto importante per la popolazione della Striscia di Gaza. Come risultato dell’Occupazione israeliana il numero dei pescatori si è ridotto da circa 10.000 a 2.000 ed è, attualmente, di circa 4.000.

I continui attacchi israeliani a pescatori e contadini riduce la capacità di Gaza di fornirsi di cibo proprio; questo crea un mercato per la produzione alimentare israeliana, in parte finanziata dalle organizzazioni umanitarie internazionali.
La popolazione di Gaza dipende, sempre più, dagli scarsi rifornimenti di cibo che arrivano via Israele, cosa che rende il blocco ininterrotto, particolarmente, proficuo per la Potenza occupante.

Le restrizioni israeliane alla libertà di movimento dei Palestinesi, per terra e per mare, sono un pilastro dell’occupazione della Palestina e una violazione dei Diritti Umani fondamentali.

I giacimenti di gas e petrolio al largo hanno a che vedere con le restrizioni israeliane all’attività di pesca dei Palestinesi?

Le acque territoriali palestinesi fanno parte della Provincia del Bacino del Levante che è considerata di interesse economico per le sue risorse di gas e petrolio.
“L’attività di esplorazione nel Bacino del Levante ha subito una significante ripresa dal 1999-2000, quando molti grandi giacimenti di gas sono stati scoperti, a bassa profondità, nelle sabbie dell’epoca Pliocene, a ovest delle città di Ashkelon e Gaza” (fonte).
Il giacimento marittimo di gas di Gaza è stato uno dei primi a essere scoperto, nel 2000, a circa 20 mn dalla costa di Gaza. E’ considerato un giacimento, potenzialmente, di grande valore; non molto grande ma fattibile dal punto di vista economico. Nel 2014, il periodico economico inglese The Economist così ha scritto, a proposito del giacimento marittimo di Gaza: “Gli Israeliani, da parte loro, hanno impedito ai Palestinesi di sviluppare il giacimento marittimo che si trova lontano dalla costa di Gaza, dove BG (già British Gas) ha trovato gas, un decennio fa” (fonte). Impedendo ai Palestinesi l’accesso alle loro acque, alle quali hanno diritto di accedere, Israele trae profitto dalle risorse sottomarine palestinesi che dovrebbero contribuire al loro fabbisogno di energia e aiutarli a costruire l’economia palestinese.

Le barche da pesca palestinesi potrebbero essere coinvolte nel contrabbando di armi come sostiene Israele?

Israele applica il blocco navale della costa di Gaza, affermando che è necessario per fermare l’invio di armi. La costa della Striscia di Gaza è lunga, solo, 43 chilometri. E’ una costa sabbiosa, stretta e aperta, dove non c’è posto per nascondersi. Le zone vietate, adiacenti i confini con Israele e  Egitto, ne riducono la lunghezza a circa 37 Km. La Marina delle Forze di Occupazione Israeliane (IOF) mantengono l’area sotto una sorveglianza elettronica continua, mentre le navi militari pattugliano l’area, costantemente, e, spesso, aprono il fuoco contro le barche da pesca, giornalmente. Ogni affermazione sul contrabbando di armi non è credibile, in quanto un tentativo in questo senso verrebbe, certamente, rilevato e fermato dall’IOF con conseguenze catastrofiche per i pescatori, inclusi detenzione, confisca o distruzione delle loro barche e, quindi, la distruzione del mezzo di sostentamento delle famiglie. Per tre volte, negli ultimi due anni, l’IOF ha affermato di aver arrestato dei contrabbandieri di armi, sebbene l’accuratezza e l’autenticità dei video che hanno diffusi siano stati messi in dubbio. Non è chiaro se questi presunti incidenti abbiano coinvolto barche da pesca di Gaza. Anche se questi fossero esempi di contrabbando di armi, sarebbe ingiusto e illegale usarli come scusa per una punizione collettiva di tutti i pescatori di Gaza.

Cos’è la Freedom Flotilla Coalition? Quali Paesi vi partecipano?

La Freedom Flotilla Coalition è formata da organizzazioni della società civile e da iniziative di molti Paesi. Abbiamo sfidato l’illegale e inumano blocco di Gaza per molti anni e siamo impegnati a continuare la lotta, finché il blocco non sarà eliminato, senza condizioni, e i Palestinesi di ogni dove otterranno i loro pieni diritti.
Le Campagne della Freedom Flotilla Coalition che partecipano all’iniziativa “Solidarietà con i Pescatori di Gaza” includono: Ship to Gaza Sweden, Ship to Gaza Norway, Canadian Boat to Gaza, Freedom Flotilla Italia, Palestine Solidarity Alliance South Africa, Rumbo a Gaza (in Spagna e con connessioni con l’America Latina), US Boat to Gaza, Kia Ora Gaza New Zealand/Aotearoa, MyCARE Malesia.

La Freedom Flotilla Coalition ha sfidato per sei anni, in forme differenti – il blocco navale di Gaza, mentre altre organizzazioni si sono battute in maniera rilevante contro il blocco di Gaza via terra.

Come e quando sfiderete il blocco navale con l’attuale progetto?

Nel 2017, focalizziamo i nostri sforzi sul far crescere la consapevolezza della situazione dei pescatori di Gaza, che i media mainstream, difficilmente, riportano. E’, anche, un modo per costruire il sostegno della società civile, unendo la loro causa a quella delle comunità di pescatori, nel mondo. Una base più ampia di sostegno ci permetterà di salpare, ancora, nel 2018, per sfidare l’illegale e inumano blocco israeliano con una più larga partecipazione internazionale.

Affermate che la vostra Campagna sostiene i pieni diritti dei Palestinesi: quali sono questi diritti?

Mentre ci focalizziamo sull’opposizione al blocco imposto ai Palestinesi di Gaza, vediamo questa azione in un contesto più largo di sostegno al diritto alla libertà di movimento per tutti i Palestinesi. L’Occupazione viola, giornalmente, i diritti dei Palestinesi di muoversi, liberamente, per il loro Paese e di partire e tornarvi come garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sosteniamo, anche, altre richieste più ampie di diritti per i Palestinesi, sulla base del Diritto internazionale, inclusi:

  1. Fine dell’Occupazione israeliana, degli attacchi e della colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellamento del muro dell’Apartheid;
  1. Riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini arabo-palestinesi di Israele e piena uguaglianza;
  1. Rispetto, protezione e promozione del diritto dei profughi palestinesi a tornare alle loro case e proprietà come sancito dalla risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Per informazioni sugli effetti devastanti del blocco, leggete questa scheda informativa prodotta dall’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari.

Perché il blocco israeliano di Gaza è illegale?

Israele occupa la Striscia di Gaza, dal 1967, e, come forza occupante, è responsabile del benessere della popolazione che si trova in questo territorio. Gli esperti avvertono che, se l’assedio di Gaza continuerà, la vita normale, nel territorio, non sarà più sostenibile, entro il 2020. L’attuale blocco è stato imposto, per dieci anni, da Israele e Egitto con il sostegno di molti Governi internazionali. Il blocco ha imposto restrizioni al movimento di persone e merci per più di un decennio.  Applicando misure restrittive che colpiscono l’intera popolazione, viola le Regole Umanitarie internazionali, incluse le Convenzioni di Ginevra che vietano la punizione collettiva.

Ma non c’è stato un rapporto ONU che ha detto che il blocco è legale?

Nel 2011, l’ONU ha ricevuto un rapporto dalla Commissione Palmer-Uribe che suggeriva che Israele avesse un diritto legale ad applicare un blocco su Gaza, anche se quella Commissione non aveva alcuna esperienza legale sulla quale basare la sua conclusione politica. Un rapporto di cinque Relatori Speciali dell’ONU, tutti esperti in Diritto Internazionale ha ritenuto, nel settembre 2011, che il blocco sia, chiaramente, illegale perché viola i diritti dei Palestinesi di Gaza. Secondo questi esperti ONU, “occorre intraprendere passi decisivi per difendere la dignità e il benessere basilare della popolazione civile di Gaza, della quale più della metà è composta da minori. Il blocco israeliano di Gaza deve finire, immediatamente, e alla gente di Gaza bisogna offrire protezione, in linea con il Diritto Internazionale.”. Sotto la legge sui Diritti Umani e il Diritto Umanitario internazionale, la gente di Gaza, pur vivendo sotto occupazione, avrebbe diritto a un adeguato standard di vita e al continuo miglioramento delle condizioni di vita.

Perché il blocco è definito “punizione collettiva”?

Come Potenza occupante con il controllo di Gaza, Israele è obbligato, secondo le Convenzioni di Ginevra e il Diritto Umanitario internazionale, a permettere ai Palestinesi di mantenere una vita economica normale. La stessa Convenzione vieta la punizione collettiva: una Potenza occupante non deve punire un’intera popolazione (tutti Palestinesi di Gaza o tutti i pescatori di Gaza) a causa degli atti di pochi individui. Secondo il Diritto internazionale e la 4^ Convenzione di Ginevra, articolo 33: “Nessuna persona protetta può essere punita per un’offesa che lui o lei non ha commesso, personalmente. Le pene collettive e, allo stesso modo, tutte le misure di intimidazione o di terrorismo sono proibitie.” Israele viola, abitualmente e frequentemente, questo articolo e sottopone, indiscriminatamente, civili innocenti a punizione.
Secondo le Convenzioni di Ginevra del 1949, la punizione collettiva è un crimine di guerra. I pescatori di Gaza vengono puniti, collettivamente, sulla base dell’infondata accusa che potrebbero contrabbandare armi a Gaza (ne abbiamo discusso, sopra).

Freedom Flotilla è un’organizzazione non violenta?

Sì, il nostro scopo è di porre fine, pacificamente, al blocco illegale israeliano. Ogni iniziativa che la Freedom Flotilla Coalition ha lanciata è stata fondata, in teoria e in pratica, entro la cornice della non violenza. Abbiamo scelto di contrastare, sempre, l’oppressione, usando strategie non violente.